Amore genitoriale

Sono perfettamente consapevole che non ho potuto restituirti che qualche brandello dell’amore che mi hai donato. Sono grande abbastanza per sapere che funziona perlopiù così, che un genitore si dona consapevole che è tutto gratuito, senza pretendere di essere ripagato, senza misurare i gesti, perché molti non li so e non li saprò mai. Mi auguro ci sia davvero qualcosa al di là, dopo la morte, dove poter ringraziare davvero, chiedere scusa, spiegazioni, riparare… deve esserci un’altra opportunità, un’ultima occasione per chiudere dei cerchi e trovare pace con se stessi, prima che l’angoscia del vivere ci divori, prima di aver consumato le lacrime, finito il percorso, chiuso il libro della nostra esistenza. L’amore a volte si moltiplica ed è in qualche modo un passaggio del testimone: da bambini riceviamo amore e poi lo offriamo come fosse una danza in cerchio dove è impossibile distinguere dove inizia o finisce, chi dona da chi riceve. Qualche uomo o donna ha la capacità di far lievitare ciò che ha ricevuto, per restituirlo o donarlo potenziato ed è così che va il mondo, è così che l’umanità evolve… è così che funziona l’amore.

Gossip svalutante

Rita è una donna di quasi cinquant’anni con un buon lavoro in un’azienda di medie dimensioni ed una soddisfacente relazione affettiva. È sempre molto attenta al suo “outfit”, molto curata e dai modi gentili. La sua attività “preferita” è giudicare costantemente abbigliamento e quant’altro di colleghe e colleghi, alimentando un’idealizzazione di sé che rasenta la perfezione in un mondo che vede imperfetto e poco armonico e nelle note che, negli altri, percepisce stonate.

Tutto questo la fa stare bene: poter giudicare tutti sedendo sullo scranno più alto del tribunale è un modus vivendi che la accompagna da tempo, con l’obiettivo di stare lontana dal banco degli imputati. Il suo sembra un tentativo di sentirsi perfetta svalutando gli altri e creando “alleanze giudicanti” con chi sta al suo “gioco”, che potremmo chiamare: “io sono più elegante di te” oppure “ma ti sei visto/a?”. Rita priva le persone della libertà di esprimersi in modo multiforme, di manifestare molte e differenti parti del sé, di rompere schemi che sono soprattutto nella sua testa, dove tutto deve essere perfetto e seguire delle regole precise, che diventano una corda dove sorreggersi per non cadere nel caos generativo, straordinariamente affascinante ed avventuroso degli esseri umani.

Eppure, un tempo ci amavamo

Eleonora ha lasciato il fidanzato dopo cinque anni di convivenza e questo allontanamento ha scatenato in lui una rabbia quasi incontenibile: insulti sui social e “visite” fuori dal posto di lavoro per urlare che è una stronza, con la volontà di svalutarla, cancellare la sua presenza nella propria vita con un odio che allontana, come se questo fosse sufficiente.

Eppure un tempo si sono amati… e questa reazione sembra così spropositata ed obiettivamente inaccettabile, inaspettata da parte di Eleonora che ora deve gestire i suoi sensi di colpa per aver causato il dolore di lui e lo stupore rispetto ad una reazione imprevista, senza neppure un tentativo di continuare la relazione, di capire le cause di un allontanamento, di riparare ciò che si è rotto,

Eleonora ha, come molti, idealizzato la relazione e Valerio, dipingendolo con i colori delle fiabe e delle aspettative, tessendogli e vestendolo con stoffe fatte di arcobaleni raccolti nel mondo degli unicorni, senza riuscire a guardarlo davvero dentro, conoscere i mostri che lo tormentano e che ora si scatenano e agitano incontrollabili e distruttivi, come quando un bambino viene privato del gioco preferito.

Un mondo migliore

Ci sono persone in grado di rendere il nostro piccolo mondo un posto migliore dove stare, capaci di camminare accanto a noi, di starci vicino o di lasciarci camminare al nostro passo: sono uomini e donne preziosi, cui dobbiamo molte grazie anche solo attraverso uno sguardo, una carezza, persone che ci colorano i momenti con la loro presenza, che ci cambiano spesso la vita.

A volte il nostro mondo, fatto di paure, dubbi, inciampi, sofferenze, sorrisi ci sembra l’unico mondo possibile, senza via di scampo o una seconda possibilità per ripartire, rifare… ma ci sono persone che ci fanno scorgere alternative, nuove possibilità ed a volte ci tendono la mano per accompagnarci in dimensioni che non credevamo possibili, prospettive che a volte rifiutiamo perché le riteniamo estranee, forse illusorie. Lasciare le nostre calde e rassicuranti convinzioni è un processo doloroso e complesso: i nostri fardelli rendono difficile spiccare un salto oltre lo steccato e al di là del fosso dove percorrere finalmente nuovi sentieri, ascoltare differenti profumi ed osservare cieli tersi, farsi riscaldare da un sole limpido e non più velato, nascosto da nuvole grigie.

Ci sono davvero persone speciali. Oggi ancora.

Gelosia paranoica e delirante

Daniele non riesce a stare in una relazione affettiva per più di qualche mese perché la sua gelosia paranoide e delirante fa scappare le partner dopo averle condotte inesorabilmente allo sfinimento; il suo mondo interno è angosciato dall’abbandono, dai fantasmi che proietta nella fidsnzata, dal bisogno di sentirsi importante, essenziale.

Dopo una prima fase di “love bombing”, di attenzioni e continua presenza, Daniele fa capire che lui dovrebbe più che bastare, che lei dovrebbe relazionarsi solo con lui, cancellare tutti i numeri dai maschi dalla rubrica, essere sempre in contatto inviando mille messaggi e foto, condividendo ogni respiro. Avere lui come unico amico, fratello, collega. Rinunciare a tutto, a tutti, per amore… per il suo “amore”.

Quell’amore che vincola nei pensieri, nelle strade da percorrere in auto, nel tempo vissuto e da vivere, nelle richieste continue e soffocanti di rassicurazioni che non sono mai abbastanza perché il desiderio di controllo si spinge sempre più in là, più nel profondo. Daniele vuole che la partner sia dipendente da lui, completamente di sua proprietà e la sua rabbia si manifesta con urla ed imprecazioni quando lei non risponde alle sue continue richieste di dipendenza, mascherate da richieste d’amore. Se mi ami eviti quella strada o quella situazione perché porresti incontrare… se mi ami allontani quella persona, se mi ami…

Amore e dolore

Amore fa sempre rima con dolore? E quanto dolore si può accettare, sopportare in una relazione affettiva?

Quell’amore fiabesco, immaginato e sperato, che vede le coppie felici per sempre si infrange inesorabilmente alle prime cotte, quando l’altro è Altro e non al servizio dei nostri desideri, quando a volte è distante ed assente, incapace di un abbraccio che accolga e contenga. Il “felici per sempre” è (ancora oggi) un inganno a cui è difficile sottrarsi.

Quanto amore c’è nel dolore e cosa possiamo chiedere ad un rapporto se non alcuna pretesa ed accogliere ciò che spontaneamente arriva? Eppure molte relazioni affettive sono incastrate e rimangono intrappolate in relazioni di co-dipendenza, in cui il bisogno di vicinanza diventa una fune corta per non farci allontanare, il partner una stampella necessaria per evitare cadute rovinose e placare quella angoscia di abbandono che fa mancare il fiato… “senza di te io muoio” è una trappola affettiva cui è difficile sottrarsi.

È tutto straordinariamente e maledettamente complesso ed a volte sembra di non aver imparato nulla dalle millemila storie raccontate o negli scritti che attraversano i secoli. Siamo eterni principianti, siamo sempre ignoranti.

Forse davvero ci si deve sentire alla fine un po’ male… (Sally -Vasco)

Famiglia, famiglie e funzione paterna

Ad alcuni giorni dalla festa del papà, vorrei proporre alcune riflessioni sull’amore paterno.

La prima riguarda quel padre, Giuseppe, a cui dobbiamo la festa, un uomo un tempo dipinto anziano e sessualmente disattivato, come se la prima fecondazione assistita, che ha generato un uomo di nome Gesù, tenesse lontano dalla coppia una sana attività sessuale… in realtà ci auguriamo che Giuseppe sia stato sposo, padre ed amante. Non sappiamo nulla dei primi anni di vita di quel figlio, ma piace pensare che sia stato un padre in grado di dare quella sicurezza che permette di allontanarsi.

La seconda riguarda la funzione paterna, che può essere esercitata da “qualsiasi” persona, uomo o donna. Ciascuno di noi si sente figlio di molti padri, non solo di quello biologico, uomini a cui dobbiamo molto, che ci sono stati padri e che ci hanno voluto bene al di là di un rapporto di sangue.

In una realtà complessa, composta più che di famiglie “tradizionali”, di famiglie mono o plurigenitoriali, ricostruite e frammentate, colorate ed uniche, in cui l’amore conta più che le stringhe di dna, possiamo sentirci padri e figli l’uno verso l’altro, prenderci cura di noi e di chi ci cerca, essere inclusivi come se la diversità fosse valore ed opportunità di crescere, di stare autenticamente bene. Se tutti facciamo qualcosa, qualcosa accade.

Come rana in pentola

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Alcune persone vivono le relazioni con un’inerzia disfunzionale.

Conosciamo tutti la metafora (narrata da Noam Chomsky) della “rana nella pentola” riempita d’acqua che si riscalda piano piano al fuoco mentre l’animale si gode in un primo momento il calore per poi morire perché incapace di uscire da una situazione che diventa pericolosa per la propria esistenza perché l’acqua è bollente.

E così spesso (ri)conosciamo uomini e donne che rimangono in relazioni affettive del tutto tossiche ma che si sono impercettibilmente evolute nel tempo fino a diventare insopportabili ma solo per chi le vede dall’esterno mentre per chi le vive dal di dentro sono “normale ménage familiare e/o relazionale”.

Tali situazioni, relazioni si evolvono piano piano in una determinata ed ineluttabile situazione di dominio-sopraffazione oppure di dipendenza affettiva, oppure ancora di colpa-espiazione o infine di trappole narcisistiche. Difficile uscire da soli da queste “gabbie affettive”, spesso dorate o ritenute “necessarie”, come se il destino riservasse solo tristezza e vite spente, dolore inevitabile.

Guardarsi, osservarsi dall’esterno permette di capire la gravità della situazione in cui siamo e trovare la forza di dire: “basta davvero!”, cercare una mano amica che ci tolga dalla pentola e salvi la vita e tornare finalmente a sorridere.

Fiesta loca!

Ancora qui a chiederci il senso di questo 8 marzo, giornata internazionale della donna, come se oggi ci fosse ancora qualcosa da festeggiare e autentica festa non sarebbe invece se noi maschi facessimo dei gesti concreti, dei pensieri liberanti rispetto ad una cultura maschilista che ci “corazza” e protegge difendendoci innanzitutto dai noi stessi e perpetrando quei privilegi che come etero e bianchi sentiamo il diritto di avere.

È una “fiesta loca” quella di oggi, pazza perché vorrei sparisse dal calendario, pazza perché in realtà c’è ancora bisogno di parlarne e mettere a fuoco le problematiche di nascere con una vagina, pazza perché il cammino è iniziato ma è ancora lungo. Eppure tra le pieghe della società nascono fiori inaspettati, coltivati soprattutto dalle nuove generazioni, che hanno una sovrastruttura culturale più leggera e quindi spesso riescono a volare: sono ragazzi e ragazze che vivono l’identità sessuale in maniera fluida e anche per questo riescono a vivere mascolinità e femminilità come aspetti paritetici del loro esistere, consapevoli che ogni parte del sé ha diritto di manifestarsi.

I maschi possono, devono essere acceleratori di particelle di empatia e uguaglianza, ascolto e rispetto, ché nessuna donna ci appartiene e non abbiamo alcun diritto sulla mente o sul corpo femminile.

Il mio pensiero e solidarietà va a tutte quelle donne che lottano e sacrificano i giorni, a volte la vita per il diritto di esistere, come persona prima che come corpo.

Tinte tenui

Alcune persone amano le mezze stagioni, quando l’aria è limpida ed il sole accarezza dolcemente il viso facendo presagire un autunno che ti accompagna con un lieve sorriso, o la primavera che invita a togliere le scarpe e camminare a piedi nudi su erba fresca e verdissima.

Alcune persone scelgono i colori a pastello, che non si vedono dal lato opposto del foglio e dipingono il mondo come lo percepisce per lo più il nostro sguardo interiore.

Alcune persone adorano le parole sussurrate nell’orecchio, quelle che entrano davvero nell’anima e ricordi per sempre, quelle che devi avvicinarti per comprenderle e che accendono il sorriso, le parole che si dicono in un abbraccio caldo ed avvolgente

Alcune persone amano le canzoni non urlate, quelle che ti trasportano in dimensioni intime e speciali e raccolgono i pensieri, quelle che senti tue e raccontano meglio di qualsiasi cosa ciò che senti, ciò che sei.

Alcune persone, infine, scelgono con cura le parole da non dire, prediligono il silenzio ai cori dello stadio, si guardano dentro e si chiedono i perché, hanno poche certezze e considerano il dubbio l’anticamera della conoscenza.