
Elia è un uomo sulla cinquantina, un piccolo imprenditore con due figli di cui uno maggiorenne, nessun problema economico ed una vita che scorre inesorabile e ripetitiva da sempre. Conosce la moglie da trent’anni, si è sposato quasi per inerzia tant’è che non le ha mai detto “ti amo” e non l’ha mai baciata con passione. Una vita a fare sempre le stesse cose, a dire le stesse frasi, ogni giorno uguale a quello appena passato ed al prossimo… relazioni affettive con la moglie e con i figli dove il dialogo è inesistente.
Elia non coglie neppure la profonda insoddisfazione che lo fa sentire a disagio ma a cui non sa dare un nome, una collocazione; egli sostiene che la sua relazione non è poi così “terribile”, che rimane con la moglie per il “bene” dei figli, per gli amici di entrambi e di sempre, le solite e piccole quotidiane certezze che gli danno molta sicurezza.
Elia non ha la forza, il coraggio di cambiare la propria situazione, di prendere in mano la sua vita poiché non vi è distanza tra ciò che desidera e ciò che ha, egli ha smesso da tempo di sognare, di osare, nella paura di rompere equilibri precari, immaginarsi un luogo o situazione differenti da quelli che vive ed è sempre uguale a sé stesso, perché il mondo attorno (e dentro) a lui rimanga immobile ed immutabile.
Dopo aver letto la storia di Elia mi chiedo se sia davvero impermeabile alle relazioni. Cosa può insegnare alle generazioni future?
Forse non si rende conto che ha una grande responsabilità dato che “fa” da modello per i figli e per i suoi dipendenti.
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Già… e si “impara” molto più dal comportamento nel genitore e dal “non detto” rispetto a ciò che viene spiegato.
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