
A volte i genitori sono ostaggio di un figlio o di una figlia problematici, ragazzi che non sono in grado di diventare autonomi ed adulti, di allontanarsi dal padre o dalla madre.
Sono aggrappati come bambini impauriti in braccio a mamma e papà, li tengono legati a sé per la paura di abbandonarsi al futuro, per il timore di intraprendere una strada da percorrere in solitudine: sono come un acrobata terrorizzato dal lasciare il trapezio per aggrapparsi ad un altro che lo porterà lontano da dove è partito: la certezza di un ambiente caldo e protettivo (per quanto disfunzionale) impedisce di stare da soli con le proprie angosce, con le forze che sembrano deboli, nell’incapacità di fare un salto nel mondo dell’adultità e dell’inevitabile solitudine che ne consegue.
Atteggiamenti regressivi, comportamenti disfunzionali che richiedono la presenza dei genitori posso essere sintomi di un adolescente impaurito che vuole (deve) tenere a sé mamma e papà per essere rassicurato, per sentirsi protetto, in un’infanzia che rischia di diventare infinita ed un’adolescenza che è solo apparente perché priva dell’esploratività del mondo e dell’esistenza, del mettersi alla prova, dell’osare.
Mancano i riti iniziatici, quelle cerimonie, situazioni di passaggio che delimitano un prima e un dopo, la presa di responsabilità della propria vita, il salire su di un treno per non tornare più.
Tema attualissimo e che mi sta molto a cuore.
Vedo nello sport una possibile soluzione.
Faccio l’esempio con il calcio o il rugby: mi immagino un ragazzo iscritto ad una società che si allena e magari gioca con la squadra delle giovanili.
Una volta raggiunti determinati obiettivi, si prepara al passaggio nella prima squadra, quella degli adulti.
Ma la maglia gli verrà consegnata solo se supererà una prova fisica emotivamente carica, terribile, spaventosa.
Se il rito viene superato, la prima squadra (il Grande Padre) lo accoglierà come un adulto.
Lo sport ha tutti gli ingredienti: tribalità, coinvolgimento emotivo, fisicità, gruppo, identità.
L’allenatore chiaramente dovrebbe avere, oltre alle abilità tecniche, una formazione psicologica tenuta da esperti.
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Grazie per la tua intereressante e profonda riflessione Leonardo, che condivido. 😀
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manca la condivisione, stendardo di una comunitá ampliata di tempi antichi….dove i genitori venivano supportati e si anche….risvegliati dal torpore di questi eterni convalescenti tra le sottane. io osservo la solitudine di questi ragazzi, non intravedi piú la spensieratezza di giochi di mezzo che affronti con i primi peli sul petto. siamo tutti ancorati in una realtá irreale, idealizzata tra circuiti di rete non piú sostenuti da coetanei. tutto sembra offuscato e io in primis mi rendo conto di essere fortunata ad aver delle ragazze come dire “giá a volo spiccato” nonostante la loro immaturitá da passaporto
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Il paradosso di internet: nato per “connetterci” e “condividere”, ha prodotto l’esatto contrario.
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Già Leonardo, è proprio così….
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Purtroppo si,ci proietta in un altra realtà. Cogli subito chi non è a proprio agio e si “rifugia” nel digitale per essere altrove. Siamo sempre più soli e freddi di emozioni a pelle
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