
Il bisogno di approvazione, di essere anche soltanto “visti” è amplificato, negli ultimi decenni, dalle potenzialità del web, in particolare dai social che si dipanano in un eterno presente ed inghiottono con la velocità di qualche click immagini e video, influencer e personaggi che spopolano su tiktok o Instagram.
È il bisogno, infantile e potente, di un applauso, di sentirci importanti, di essere presenti nella mente degli altri, di like, tanti like… ma così tanti che non bastano mai.
Essere considerati, presenti nella mente dell’altro, diventa il principale paradigma dell’esistenza, l’unità di misura del valore del sé e del conseguente benessere determinato dal fatto di esistere davvero, un sentire di esserci soprattutto perché l’altro mi fonda e determina la mia identità: io esisto se esisto nell’altro… un’esistenza necessariamente fragile perché affidata, delegata al mouse di chi mette il cuoricino o il pollice alzato.
Il rischio è una vita reale sempre più virtuale, in cui le due dimensioni si fondono e confondono ed in cui è difficile coltivare il senso di autoefficacia personale, la consapevolezza di essere autonomo cioè di essere ok, di valere al di là del “successo digitale”.
Meno internet e più cabernet
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