
Si discute molto, in questi ultimi anni, attorno al tema del narcisismo, come una modalità dell’essere che esclude l’altro, crea relazioni disfunzionali che tendono alla dipendenza, all’esaltazione del narcisista, un uomo, una donna al centro dell’universo.
Eppure, vi è un periodo nella nostra vita in cui la “soddisfazione narcisistica” è fondamentale e se questa fase non viene superata le persone inseguono il “sé grandioso” per tutta la vita.
Il bambino, nei primi mesi di vita, ha assolutamente bisogno di sviluppare e coltivare un narcisismo che nutra il suo senso di autoefficacia, la fiducia nelle proprie capacità. Ha bisogno di genitori capaci di sintonizzarsi con lui e, rispondendo alle sue aspettative, lo convincano di essere “capace di tutto”, di essere in grado di raggiungere qualsiasi obiettivo, adulti in grado di assecondare questo “delirio di onnipotenza” nella consapevolezza che, crescendo, l’incontro con la realtà permetterà di mitigare questo sano narcisismo.
Se invece questa fase non viene adeguatamente supportata, il bambino, crescendo, cercherà continuamente persone che gli confermino le proprie illusioni.
Il narcisismo può essere di tipo proiettivo, quando idealizzo persone, cantanti, squadre, partiti politici oppure speculare, quando desidero che gli altri mi vedano come un “vincente”, mi considerino capace. Entrambe queste modalità evidenziano una ferita narcisistica ancora aperta e compromettono seriamente le relazioni affettive, amicali.
Hai trattato un tema molto caldo e molto vasto. Da quando sono genitore mi rendo conto che tanti argomenti psicologici vengono trattati ‘scaricando’ la responsabilità di mancanze, ferite, traumi… sui genitori. E mi chiedo quanto sia giusto e corretto. I genitori sono degli esseri umani con i loro punti di forza e di debolezza; a volte sbaglieranno e a volte indovineranno perché in questa vita è così. Esseri perfetti non ne esistono. Lo dico perché in quanto mamma molto sensibile alla tematica dell’educazione mi rendo conto che finisco col rimproverarmi continuamente, sentirmi in colpa, accusarmi se mi sono lasciata andare e non ho seguito la teoria/gli insegnamenti montessoriani, junghiani, steineriani, freudiani, della comunicazione non violenta (Marshall), ecc. ecc. Credo nell’importanza dell’educazione tanto quanto la fallibilità dei genitori.
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La fallibilità dei genitori è parte integrante dell’educazione. La differenza sta nella consapevolezza, capire cosa accade permette di rispondere ai meccanismi psicologici dei nostri figli in modo armonizzato e responsivo. Come fare una torta improvvisando o sapendo amalgamare bene gli ingredienti, la temperatura del forno ecc. La differenza sta tra il “che” le cose accadono e “perchè” le cose accadono…
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È interessante anche il concetto di farli crescere “capaci di fare tutto “. Non potrebbe essere controproducente?
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No, la consapevolezza di poter realizzare i propri desideri è necessaria per avere la fiducia, la speranza che questo accadrà. Fa nascere l’autoefficacia che è il “sapere di saper fare”… crescendo cambieranno i propri desideri ed obiettivi, ma rimarrà la certezza di avere gli strumenti per raggiungerli.
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Grazie. Interessanti spunti.
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