La settimana scorsa mi reco in un ufficio pubblico. In sala d’attesa c’è la “reception” in cui il “funzionario” preposto stampa la prenotazione con un numero ed una lettera in base alle pratiche che le persone debbono sbrigare. In fila davanti a me c’è una signora di colore che cerca di spiegare il motivo per cui è lì. Si esprime evidentemente in un italiano leggermente stentato ma l’addetto non fa alcuno sforzo per cercare di capire né prova ad utilizzare parole comprensibili o di parlare lentamente in modo da farsi capire. Ben presto si stizzisce perché non riesce a comprendere a quale ufficio indirizzare la signora finché capisce che la signora vorrebbe solo rateizzare una multa… solo allora stampa anche a lei il suo biglietto di prenotazione.
Ora (finalmente) non è più un problema suo ma del collega che si occuperà della pratica.
Poi tocca a me, mi guarda e chiede: “di cosa ha bisogno, dottore?”.
Mi sento a disagio per la signora, e mi viene da chiederle scusa perché, in fondo, le persone con un diverso colore della pelle suscitano in molti un senso di fastidio. Scusa perché non sappiamo ancora accogliere, né accettare la “diversità” (ma diversi da chi?), eppure basta poco, avere a cuore la dignità delle persone, mettersi nei loro panni, vivere le “differenze” come una risorsa.
È davvero così complicato?
Mi succede spesso di assistere a situazioni così… sono riflessioni che faccio anch’io.
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Non è affatto complicato, semplicemente non c’è volontà a trattare tutti allo stesso modo; ad offrire a tutti la stessa cortesia.
“Difficile” è impegnarsi con chi ha più difficoltà…
….
Di che cosa ha bisogno?
Di trovare impiegati che lavorino con più comprensione verso i più deboli
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