Si discute molto, in questi ultimi anni, del nuovo ruolo che gli uomini, i padri, sono chiamati a ricoprire all’interno di una relazione di coppia e nel coinvolgimento educativo dei figli. I nuovi “assetti sociali” con famiglie sempre più monogenitoriali hanno allontanato spesso i figli dal padre, una figura piuttosto in crisi rispetto al proprio ruolo in famiglia, nella società.
Ma davvero i figli hanno bisogno di un padre? Questa provocatoria domanda nasce dalla consapevolezza che nei decenni e secoli che ci hanno preceduto il padre, per motivi che possono essere relativi al lavoro, alla guerra o alla morte prematura è sempre stato relegato al ruolo di “procacciatore di cibo”: un uomo proiettato all’esterno della famiglia, che si occupa del mantenimento della prole, mentre la donna dell’accudimento. Le cose hanno funzionato così, ed anche bene, per molto tempo.
Nei miei numerosi incontri formativi con gruppi di soli uomini ho notato che ogni maschio ha molti padri e, spesso, quello biologico non è tra questi. Ogni uomo ha più “uomini-padri” che gli hanno mostrato con i fatti, più che con le parole, cosa significa essere maschio, che ha manifestato nella quotidianità i propri valori come l’altruismo, la responsabilità verso la famiglia e l’azienda dove lavora, l’amore per un’altra persona e per i figli.
Non servono tante parole, infatti le persone attraverso le scelte quotidiane manifestano i propri valori, ciò che è per loro davvero importante: se ho tempo da dedicare ai miei figli significa che sono importanti, se sento il desiderio di vederli, sentirli, abbracciarli significa che tengo a loro, se manifesto il mio affetto per loro significa che li amo.
I nuovi padri sono chiamati a “strappare” i propri figli dalle braccia rassicuranti delle loro madri e passare del tempo con loro, guidarli nella natura per ritrovare il rapporto con la nostra parte primitiva e gli istinti, portarli dove ci sono animali per insegnarli il ciclo della vita e che prendersi cura di qualcuno comporta impegno e dedizione, accompagnarli a qualche mostra e nelle città d’art per fargli capire come la bellezza e la spiritualità fanno di una persona una grande persona.
Non rinunciamo a loro, soprattutto quando non sono come li abbiamo sognati e desiderati, soprattutto se non sono i più bravi a scuola, o nello sport, se non manifestano interesse per la nostra azienda o per la nostra professione… lasciamo scegliere a loro il proprio futuro.
Non rinunciamo a loro soprattutto quando manifestano il loro profondo disagio dicendo che non ci vogliono bene, che siamo dei pessimi padri, e che abbiamo sbagliato tutto, con loro. Le persone manifestano, urlano il proprio bisogno d’amore spesso con modalità “strane”, disfunzionali… e sta a noi, padri e uomini, capire cosa si cela dietro un silenzio ed un broncio, dare voce alle emozioni che i nostri figli non sanno esprimere, anche la rabbia, il dolore… se guarderemo dentro noi e saremo in grado di accettare ciò che siamo, con le nostre fragilità e contraddizioni, allora finalmente saremo in grado di ascoltare e capire i nostri figli. Si chiama empatia.
Anche questo fa di un uomo un Uomo